Andremo a guardare la questione della ripartizione consumo acqua e quindi delle spese inerenti ai consumi idrici in condominio per capire come affrontare una serie di domande fondamentali:
- Qual è il principale criterio di ripartizione di riferimento?
- Che cosa sono i misuratori o contatori di sottrazione?
- Quali le norme che ne sanciscono l’installazione? L’installazione è obbligatoria?
- Cosa fare quando non sono presenti?
- Quali i poteri dei condòmini?
Premessa
Le obbligazioni condominiali sono considerate obbligazioni propter rem, ossia obblighi connessi alla titolarità di un diritto reale. Si è titolari dell’obbligazione condominiale in quanto si è condòmini, cioè proprietari dell’unità immobiliare ubicata in condominio. L’obbligo di contribuire alle spese condominiali circola unitamente al diritto di proprietà e senza che vi sia bisogno di specifiche menzioni nell’atto di trasferimento di questo; ciò che si trasferisce in capo al successore nel diritto di condominio è l’obbligo di contribuzione e non la specifica obbligazione.
In questo contesto s’inseriscono tutte le spese afferenti alla gestione e conservazione delle parti comuni dell’edificio, ivi compresi i costi per la fruizione dei servizi erogati in favore del condominio. Il codice civile contiene una striminzita disciplina della ripartizione delle spese, vale a dire della materia che deve fornire le indicazioni sul modo di suddividere le spese condominiali tra i condòmini. Striminzita, specie se si guarda alla enorme mole di servizi oggi erogati rispetto a quando tali norme furono pensate, e per di più poco chiara in relazione alla terminologia utilizzata. Il criterio di ripartizione delle spese principale è quello secondo i così detti millesimi di proprietà; ve ne sono altri, sussidiari, che consentono una ripartizione in base all’uso che ciascun condòmino può fare di un determinato bene/servizio e resta sempre possibile elaborare criteri ad hoc, purché con il consenso di tutti i condòmini. Laddove, poi, l’utilizzazione individuale sia effettivamente misurabile, la rilevazione del consumo può assurgere a criterio di ripartizione della spesa. È il caso del costo del combustibile per il servizio di riscaldamento o del consumo idrico. Con un’annotazione: per quanto il criterio principale ed orientativo rispetto a questo genere di consumi sia quello di pagare in base a quanto si è fruito del servizio, esistono voci di costi (es. canoni contrattuali) rispetto alle quali valgono sempre i criteri generale.
Contatori del consumo dell’acqua individuali e condominio
Le spese condominiali suddivisibili in ragione dei consumi individuali di ciascun condòmino necessitano di strumenti di rilevazione che consentano tale ripartizione. In relazione ai consumi idrici questo strumento è rappresentato dai così detti contatori individuali, altrimenti noti come contatori di sottrazione o misuratori individuali.
Delle modalità di applicazione del criterio di ripartizione ci si occuperà nel prosieguo: qui è utile valutare se e quando bisogna installare i contatori di sottrazione e se tale operazione è obbligatoria. È bene partire dal dato normativo di riferimento, ossia dal D.Lgs. n. 152/2006. Le disposizioni contenute nel codice dell’ambiente proseguono nel solco tracciato dalla così detta legge Galli e dai suoi decreti attuativi. Il problema che si pone all’attenzione dell’interprete riguarda la vigenza delle varie disposizioni citate in ragione del succedersi di provvedimenti legislativi e all’intervento delle Regioni. Partiamo dal dato certo: sicuramente la L. n. 36 del 1994, quella che per prima demandava alle Regioni l’adozione di norme volte all’installazione di contatori individuali è stata abrogata. Il contenuto di quella norma è stato sostanzialmente ripreso dall’art. 146 del codice dell’ambiente.
Quali provvedimenti sono stati adottati al fine di prevedere la installazione di misuratori per le singole unità immobiliari che consentissero la rilevazione dei consumi individuali?
Che cosa hanno fatto le Regioni in questo lasso di tempo? Non molto, almeno questo è il laconico responso dell’AEEGSI: secondo l’Autorità, salvo il poche regioni (Lombardia, Umbria, Emilia Romagna, Basilicata), ben poco è stato fatto per rendere cogente la previsione dell’installazione di contatori individuali, essendosi le Regioni limitate a recepire nella propria legislazione la previsione di cui al codice dell’ambiente mediante rimando all’adozione di successivi loro provvedimenti.
In questo contesto, quindi, sembrerebbe che fino all’adozione, da parte di tutte le Regioni, di provvedimenti attuativi effettivamente cogenti, l’obbligo di contatori individuali per la rilevazione del consumo idrico non sia generalizzato. Eppure, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato il 4 marzo 1996 è attualmente vigente. In esso, o meglio in uno degli allegati al D.P.C.M. è stabilito che la ripartizione interna dei consumi relativamente alle utenze multiple debba essere eseguita, a cura e spese dell’utente, tramite installazione di singoli contatori. La giurisprudenza che si è pronunciata in materia di ripartizione delle spese dell’acqua in ambito condominiale non ha mai affrontato compiutamente l’argomento, limitandosi a prendere atto del fatto che il Legislatore vede con favore l’adozione di norme finalizzate alla installazione di contatori individuali. Diversamente opinando, ossia dando per obbligatoria l’organizzazione della ripartizione delle spese condominiali connesse all’uso di acqua potabile sulla base dei consumi, ne dovrebbe discendere la possibilità per i singoli condòmini di agire giudizialmente al fine di ottenere l’adeguamento a quanto previsto dall’Allegato 9 al D.P.C.M. 4 marzo 1996 e non realizzato volontariamente.
Ripartizione della spesa per il consumo idrico
Esaminata la situazione di incertezza concernente la cogenza delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di installazione di contatori individuali in condominio per misurazione del consumo dell’acqua, si dia qui per scontata la loro presenza – come sovente accade – e l’assenza di pattuizioni tra tutti i condòmini, che avendo il valore della diversa convenzione di cui all’art. 1123, comma 1, c.c., possono prevedere criteri di ripartizione differente anche in presenza dei più volte citati contatori individuali.
Come si ripartisce concretamente il costo del servizio? Esso, come specificato dalla legge, si compone di più voci: c’è il costo della fornitura dell’acqua, quello della fognatura e depurazione (ove presenti), alcuni costi fissi. Per i consumi dell’acqua c’è il contatore di riferimento dell’ente erogatore e quelli di sottrazione. All’apparenza, quindi, si tratta di una semplice operazione di suddivisione del costo in base ai consumi. Si riproporziona il tutto alla quota di consumo del singolo, facendo in modo che scattino le fasce tariffarie in ragione dei suoi consumi. Stesso discorso per le quote inerenti fognatura e depurazione che vanno a coincidere con la quota di consumo. Il problema ove le richieste ai condòmini seguano la fatturazione periodica dell’erogatore sta nel fatto che è molto difficile che vi sia una totale sovrapposizione della rilevazione della società erogatrice con quella dell’incaricato del condominio. Ed allora? È evidente che in questi casi, che sfuggono ad una precisa normazione, sia necessario effettuare una riparametrazione che consenta di adeguare proporzionalmente la lettura dei consumi del contatore generale riportata in fattura con quelle precedenti o successive dello stesso contatore e dei contatori di sottrazione effettuate dall’incaricato del condominio. Ciò per i consumi individuali; potrebbero esistere dei consumi comuni – si pensi alle prese d’acqua nei giardini condominiali – oppure le così dette dispersioni. In tali casi, salvo differente convenzione, la spesa deve essere ripartita tra tutti i condòmini sulla base dei millesimi di proprietà. Sul punto la giurisprudenza di legittimità[18] e quella di merito più recente non hanno dubbi. In particolare, con una pronuncia del gennaio 2017, il Tribunale di Roma – nell’ambito di un giudizio riguardante la validità di una deliberazione condominiale avente ad oggetto la ripartizione dei consumi idrici – ha ribadito quanto già affermato dalla Corte di Cassazione, ossia che per i consumi inerenti le parti comuni, la spesa va ripartita tra tutti i condòmini secondo i millesimi di proprietà. Residuano poi dei costi che non hanno a che vedere con i consumi strictu sensu intesi, ma più che altro con l’esistenza del vincolo contrattuale. Il riferimento è ai canoni, ad eventuali deposito cauzionali, a contributi comunque nominati e legittimamente inseriti in bolletta: in queste ipotesi, come per i consumi derivanti da utilizzo dell’acqua per il tramite dell’impianto comune, la spesa inerente dev’essere ripartita secondo i millesimi di proprietà.
Passiamo adesso all’ipotesi di assenza dei contatori di sottrazione: come ripartire la spesa?
Al riguardo, esiste una variegata casistica che sfugge ad una catalogazione avente efficacia generale e che trova il proprio fondamento in pattuizioni intercorrenti tra tutti i condòmini; non sfugge, poi, la rilevanza data da un orientamento giurisprudenziale ai così detta facta concludentia, ossia ai comportamenti reiterati che in materia di spese condominiali danno per accettato tacitamente un criterio di ripartizione utilizzato per molto tempo.
Se non esistono convenzioni particolari, a quali criteri fare riferimento?
Chiaramente bisogna guardare alla legge e più nello specifico alla ripartizione dei consumi dell’acqua corrente alla stregua di un qualunque servizio, e quindi suddividerne il costo tra i condòmini in ragione dei millesimi di proprietà, così come stabilito dall’art. 1123, comma 1, c.c. Al riguardo, una pronuncia resa dal Supremo Collegio ha efficacemente spiegato perché alla suddivisione della spesa per il consumo dell’acqua non può applicarsi l’art. 1123, comma 2, c.c.; meglio, gli ermellini hanno spiegato perché alla stregua di tale precetto normativo l’assemblea non possa deliberare – a maggioranza – che il costo della fattura del servizio idrico possa essere ripartito tra i condòmini in ragione del numero di occupanti ciascuna unità immobiliare.
Conseguenze per le deliberazioni che adottano criteri differenti da quelli legali
Le spese per il consumo dell’acqua debbono essere ripartite sulla base dei consumi delle singole unità immobiliari, ove ciò sia possibile in ragione della presenza dei così detti contatori di sottrazione, oppure – quando non presenti – sulla base dei millesimi di proprietà, salvo diverso accordo tra tutti i condòmini.
Qualora l’assemblea deliberasse un diverso criterio di ripartizione, lo stesso dovrebbe passare il vaglio di ragionevolezza alla luce del principio della ripartizione in base all’uso e qualora non lo superasse, la deliberazione dovrebbe essere considerata nulla per violazione delle norme dettate in materia di ripartizione delle spese che per essere modificate necessitano del consenso di tutti i condòmini. Si badi: ciò significa che è necessario il consenso di tutti i partecipanti al condominio, non solo dei presenti all’assemblea.
A questo risultato la giurisprudenza è arrivata in due occasioni: nel 2014, con la sentenza n. 17557 della Corte di cassazione, e nel 2017 con la sentenza del Tribunale di Roma depositata in cancelleria il 30 gennaio.
In entrambi i casi le assemblee dei condominii coinvolti nel giudizio d’impugnazione avevano deliberato una particolare ripartizione del costo del servizio idrico, differente da quelle previste della legge. Nel caso risolto dalla Corte nomofilattica, l’assemblea aveva deciso a maggioranza che la spesa per l’acqua dovesse essere suddivisa in base al numero degli occupanti le abitazioni. Nel più recente conflitto risolto dal Tribunale di Roma, l’assemblea aveva disposto più salomonicamente la suddivisione in parti uguali. Il giudice capitolino riprende nella sostanza le motivazioni espresse tre anni or sono dalla Cassazione. D’altra parte la sentenza di merito cita espressamente il precedente di legittimità.
Perché la suddivisione in parti uguali – al pari di quella secondo il numero degli occupanti – non è legittima?
La ragione sta nel disposto dell’art. 1123, comma 2, c.c. È vero, dice il giudice di Roma, esistono casi in cui l’assemblea, per meglio attagliare le spese condominiali ai relativi servizi/beni dalle quali dipendono, può deliberare che alcune spese siano ripartite in base all’uso che ciascun condòmino può farne. L’uso cui fare riferimento è quello potenziale non quello effettivo. Così, per riprendere quanto detto dalla Cassazione nel 2014, non è detto che il proprietario di un appartamento vuoto non debba pagare nulla perché non vi sono occupanti. Egli potrebbe comunque usare l’acqua, ad esempio, per le pulizie, o in occasioni di interventi manutentivi. Allo stesso modo, dice il Tribunale romano, la suddivisione in parti uguali non è ragionevole perché per discostarsi dal criterio di ripartizione generale – cioè secondo millesimi di proprietà – è necessario che quello che lo sostituisce sia effettivamente più equo. Nel caso del consumo dell’acqua, si legge in sentenza, la maggiore equità dopo quella prevista dal criterio di cui al comma 1 dell’art. 1123 c.c. è quella che consenta la ripartizione secondo i consumi. Insomma per la sentenza in esame la ripartizione sulla base della rilevazione dei consumi grazie alla presenza dei contatori individuali rappresenta l’unico modo alternativo perché effettivamente legato all’uso del singolo.
In sintesi, secondo il Tribunale di Roma, in assenza di contatori individuali sono nulle le deliberazioni, per violazione dei criteri legali di ripartizione delle spese per l’acqua, quelle delibere dell’assemblea condominiale che, a maggioranza, stabiliscano la suddivisione di tale costo in parti uguali e non secondo i millesimi di proprietà.